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Storia

Sulla sinistra il borgo di Collemancio, a destra, leggermente sopraelevato, il centro antico di Urvinum Hortense.

Urvinum Hortense, cenni storici.

 Accanto al borgo medievale di Collemancio di Cannara, situato su un esteso pianoro a una decina di chilometri dall'odierno centro di Foligno, si possono ammirare i resti dell'antico municipio romano di Urvinum Hortense.
   Il centro antico occupa la propaggine sud-occidentale della collina ad una quota di 526 metri dal livello del mare ed è collocato in un punto di grande bellezza paesaggistica dal quale si può dominare gran parte della valle del Tevere; da qui il visitatore può abbracciare con lo sguardo un orizzonte vastissimo chiuso a nord-est dalla catena appenninica umbro-marchigiana ed alle spalle, a ovest, dai monti Martani. Di lontano, volgendosi verso Perugia si scorgono le alture dell'Appennino umbro-toscano.
   L'ubicazione dell'antica città romana contrasta con quella di altri centri romani di antica fondazione quali Assisi (Asisium), Spello (Hispellum), Bettona (Vettona) e Trevi (Trebiae) posti tutti su alture che si affacciavano direttamente, ma ad una quota altimetrica decisamente più bassa, sulla pianura sottostante. La posizione dominante del luogo fa ritenere che Urvinum Hortense dovesse rivestire un particolare ruolo di controllo sia sulle città di media costa appena sopra elencate, sia su quelle di pianura quali Foligno (Fulginium), S.Giovanni Profiamma (Forum Flaminii) e Spoleto (Spoletium).

 
 
 
 

dalla guida:
Cannara
Collemancio
e l'antica Urvinum Hortense

a cura di :
Paola Mercurelli Salari
Federica Annibali

  La felice posizione topografica del sito permetteva, inoltre, il controllo dell'intera rete stradale antica che metteva in comunicazione, attraverso assi viari trasversali, i centri umbri preromani che sorgevano a media costa sulle alture che si affacciano sulla pianura. Solo in età romana la costruzione della via Flaminia sconvolgerà questo equilibrio tagliando a metà la valle umbra, creando una nuova e più agevole via di penetrazione agli eserciti consolari romani diretti in Italia settentrionale (Maurizi 1979-80, p.4).
   Il paesaggio della valle umbra, che il centro antico domina dall'alto, ha subito nel corso dei secoli notevoli trasformazioni: un ampio invaso lacustre formato dalle acque del Chiascio, del Topino e del Clitunno, occupava ancora in età storica gran parte della valle sottostante arrivando alle pendici delle alture comprese tra i centri moderni di Trevi, S. Lorenzo, Parrano, Cave, Fiamenga, Capitan Loreto e Rivotorto fino a lambire Torchiagina (Desplanques 1975, p.451).
   Il primo intervento di prosciugamento del lago è stato per tradizione attribuito agli Etruschi, senza però che vi sia alcun serio fondamento storico; essi avrebbero tagliato la sella di Torgiano permettendo così alle acque ormai stagnanti di defluire verso il Tevere. È comunque accertato che già in età romana la gran parte delle acque del lago si erano ritirate formando due distinti bacini: quello più settentrionale - il lacus Umber citato dal poeta Properzio nelle Elegie (IV,1,24) - occupava quella parte di pianura compresa tra Assisi, Spello e Bevagna, il secondo - chiamato lacus Clitorius (Paolo Diacono Historia Longobardorum II,16) - si estendeva dalla parte opposta, a sud di Bevagna ed era costituito dalle acque dei fiumi Maroggia, Clitunno e Teverone. L'opera di prosciugamento almeno parziale del lago si può ragionevolmente far risalire al primo periodo repubblicano; ciò si evince dalla avvenuta costruzione della via Flaminia che fu terminata nel 220 a.C. e dalla data di fondazione dei municipi romani di Mevania, Forum Flaminii e Trebiae, tutti sorti nei luoghi in precedenza occupati dalle acque del lago.
   La pianura era allora ricca di corsi d'acqua e quindi particolarmente adatta all'allevamento e all'agricoltura estensiva. I fiumi, come ci attestano chiaramente le fonti classiche, erano in gran parte navigabili ed assiduamente percorsi da piccole e medie imbarcazioni che trasportavano i prodotti agricoli coltivati nella regione verso Roma e le regioni dell'Italia meridionale.
   Un'iscrizione rinvenuta in Collemancio ricorda infatti Priamus, uno schiavo che ricoprì la carica di magister navium, cioè di un pubblico ufficiale preposto al controllo della navigazione fluviale, responsabile del carico e scarico delle merci e della sicurezza dei passeggeri che si imbarcavano in quel luogo. Questo importante documento epigrafico, datato su base paleografica alla fine del II secolo a.C., attesta in maniera inequivocabile lo sfruttamento dei fiumi come via commerciale fin da un periodo repubblicano piuttosto antico (Sensi 1992, p.90, n.45). Sia Strabone (V,2,10) che Plinio il Vecchio nella stesura della Naturalis Historia (III,50) menzionano l'antico Timia, il Topino, il quale, dopo aver attraversato gran parte della pianura umbra, sfociava nel Tevere permettendo alle barche cariche di merci di raggiungere agevolmente la capitale.
   Di notevole importanza per l'economia della regione era anche il Clitumnus, l’odierno Clitunno, che in età romana fu definito da Plinio il Giovane (Epistulae VIII,8,3) amplissimus flumen, atque etiam navium patiens, anch'esso quindi navigabile. Dalla testimonianza delle fonti risulta evidente che entrambi i fiumi avevano in antico una portata d'acqua molto maggiore rispetto a quella odierna.

 
 
 
 

Storia degli scavi
   Le prime indagini effettuate nell'area dove sorgeva l'antico municipio romano risalgono agli inizi del XIX secolo e furono eseguite dall'abate Giuseppe Di Costanzo. Questi individuò il luogo dove iniziare lo scavo in un pianoro soprelevato non lontano dal borgo medievale di Collemancio dove "più numerosi affioravano materiali antichi sul terreno" (Faloci Pulignani 1885, pp.640-642).
   Qui il Di Costanzo intraprese tre distinti saggi di scavo riportando alla luce per la prima volta i resti del tempio - che scambiò per un "fortelizio de' Bassi Tempi" - della basilichetta cristiana e di una parte delle terme della villa romana. Identificò quindi queste emergenze archeologiche come pertinenti al municipio romano degli Urbinates Hortenses, già citati da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (III,114).
   Dopo gli scavi del Di Costanzo seguì una lunga pausa d’arresto delle ricerche finchè l'interesse per le antiche vestigia di Urvinum Hortense venne di nuovo sollevato, nell’anno 1932, da un comitato cittadino sorto in Cannara con il preciso intento “di proteggere il patrimonio culturale già esistente e promuovere la ricerca archeologica nel territorio”, in particolare nell'area già indagata nell'ottocento.
   Alla richiesta ufficiale di una celere ripresa degli scavi seguì il sollecito sopralluogo dell'allora direttore del Museo Nazionale Romano, il Dott. Giuseppe Moretti, che concesse il permesso di effettuare ricerche archeologiche nell'area. La direzione degli scavi venne affidata ad un valente insegnante di Cannara, il Prof. Giovanni Cannelli Bizzozzero, profondo cultore di antichità e di storia locale (Bizzozzero 1933; Tomassoni 1989, pp.89-111).
   Lo scavo, realizzato con metodologie abbastanza accurate per l'epoca, si svolse in due diverse campagne effettuate negli anni 1932 e 1938 e fu finalizzato soprattutto al recupero delle strutture della città antica. Grazie alle nuove indagini fu possibile confermare l'ipotesi già proposta dal Di Costanzo, attribuendo i resti archeologici nuovamente venuti alla luce sul pianoro con quelli di Urvinum Hortense.
   A questi interventi seguirono in tempi più recenti alcune sporadiche iniziative di ricognizione del territorio e rari sondaggi archeologici come quello promosso dalle ACLI nel 1963. Altri interventi di restauro e consolidamento furono effettuati tra il 1984 ed il 1985 nell'area della villa romana dalla Soprintendenza Archeologica di Perugia.
   La necessità di costituire una commissione che tornasse ad occuparsi in pianta stabile della valorizzazione e della conservazione delle antichità urvinati, come era nelle finalità del primo comitato cittadino sorto a Cannara nel 1932, ha spinto nuovamente l’amministrazione comunale - in concerto con l'Università degli Studi di Perugia, la Soprintendenza Archeologica dell'Umbria ed altri enti locali - ad istituire nel 1986 la Fondazione "Urvinum Hortense".
   In più di dieci anni di attività si è oggi giunti alla consapevolezza della rilevanza e della qualità di patrimonio archeologico locale: tutto il materiale è stato dapprima inventariato, fotografato e studiato e sono state proposte al grande pubblico due mostre monografiche allestite la prima nel 1990 nel Teatro comunale di Cannara e l’altra a Perugia, nel 1992, nei suggestivi locali della Rocca Paolina. In questa ultima occasione è stato offerto al pubblico un voluminoso catalogo che oggi rappresenta un importante punto di arrivo per lo studio del centro antico, i materiali ed i documenti d’archivio (Raccolta di Cannara 1992). Nel luglio 1993, a termine di un accurato restauro, è stato inaugurato a Collemancio il Palazzetto del Podestà, risistemato quale sede di appoggio alle campagne di scavo.
   Infine, dal 18 ottobre 2003, in Collemancio, è stato inaugurato l'antiquarium che rende fruibile al pubblico il risultato degli scavi archeologici. E' presente in modo permanente un ricco materiale didascalico che ripercorre la storia dell'antica città.
   Da maggio 2009, finalmemte, è stato inaugurato il "Museo Città di Cannara"
dove sono presentati in forma stabile tutti i reperti provenienti da Urvinum Hortense tra i quali il famoso mosaico restaurato.

Operai impegnati nello scavo (anni '30)

Prof. Giovanni Canelli Bizzozzero

Quaderno N°1
Inventario
"L'archivio del Comitato per la difesa dei monumenti e del paesaggio di Cannara"

a cura di
Silvana Tomassoni



Raccolta di Cannara
Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria.
Electa
Editori Umbri Associati

 
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